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Raffaele Marrocco

LA STATUA D’UNA PEDEMONTANA IN NAPOLI

(In Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe, Anno VII, n. 19-20-21, Gennaio-Dicembre 1922, pp. 3-10)

 

 

(le seguenti pagine sono tratte dal CD multimediale di Valentino Nassa realizzato nell’estate 2005)

 

 

 

Chi per la prima volta entra nella Cappella di Sansevero[1] in Napoli resta colpito dalla magnificenza delle non poche opere d’arte che rinserra. Ve ne sono del Rossi, del Celebrano, del Corradini, del Queirolo, del Sammartino e del Persico, e di esse si sono occupati non pochi scrittori.

Io non dirò di tutte queste opere, ma di una soltanto: la statua della Pudicizia del Corradini[2], perché, per la figura che ricorda, rientra negli scopi di questa Rivista, che mira ad illustrare la storia, l’arte ed i personaggi di nostra terra.

La statua rappresenta una pedemontana: Cecilia Gaetani, figliuola di Niccolò Gaetani, duca di Laurenzana e principe di Piedimonte, e di Aurora Sanseverino, dei quali mi occupai altra volta su queste stesse colonne[3].

Cecilia Gaetani nacque in Piedimonte il giorno 8 settembre 1687[4], e a vent’anni quasi, nel 13 aprile 1707[5], andò sposa ad Antonio Di Sangro, duca di Torremaggiore, poi Principe di Sansevero portando in dote cinquantacinquemila ducati[6].

Da questa unione nacque Raimondo Di Sangro, quel Raimondo che servì Carlo VI, e per le sue opere strategiche e per il suo valore meritò gli elogi dello stesso Imperatore, di Filippo V, di Carlo III di Borbone, di Federico il Grande, del Re di Francia e del Maresciallo di Sassonia; quello stesso Raimondo che fu Grande di Spagna, Cavaliere dell’Ordine di S. Gennaro e gentiluomo di Camera di Carlo III; che si distinse nella battaglia di Velletri, e fu insigne letterato[7].

Nel 1711, a soli ventiquattr’anni, Cecilia Gaetani morì[8], lasciando Raimondo di qualche anno appena[9].

Antonio, non potendosene dar pace, finì, poi, per vestire l’abito religioso[10].

Raimondo, quarant’anni dopo la morte della madre, ne volle eternare la memoria ricorrendo allo scalpello di Antonio Corradini, della cui opera si avvalse quando lo scultore capitò a Napoli[11]; e il Corradini attraverso il racconto sulla breve esistenza di Cecilia e sulle virtù dell’eletta donna, ideò questa Pudicizia.

La scultura ci mostra Cecilia Gaetani tutta nuda, ricoperta da un marmoreo velo, così fine e trasparente, da farci vedere le linee del corpo. La principessa calzata di solee, è in atto di camminare. Le mani, libere dal velo, reggono un festone di rose, dal quale alcune si staccano spargendosi sul passaggio. Una lapide, spezzata in alto, a sinistra della statua, ci dà l’elogio di Cecilia, e alla sua base è situata una tazza ricoperta. La superficie del piedistallo riporta in bassorilievo la scena di Cristo risorto, che conversa con la Maddalena[12].

Qui velo e fiori hanno tutta una particolare significazione, la glorificazione cioè della donna circonfusa dal poetico profumo della castità. Se così non fosse, Antonio Corradini non ci avrebbe data la statua scolpita in tal modo. Anzi, scolpendola diversamente, nuda e priva di velo[13], egli non avrebbe compiuto un lavoro appropriato al soggetto, poiché se il nudo si addice all’ingenuità della giovanetta, non può dirsi altrettanto allor che si tratti di una madre.

Il Corradini, quindi, non poteva non servirsi del famoso velo per coprire le nudità della principessa Gaetani. Quest’involucro non gli è occorso, come dice il Dupré, per « carpire l’ammirazione della gente volgare, che piglia le difficoltà meccaniche e materiali come fine essenziale ed unico dell’arte[14] », ma è servito allo scultore unicamente per manifestare, sotto una nuova forma, le virtù della donna eletta. Con ragione, adunque, questa Pudicizia è stata ritenuta l’opera classica del Corradini[15], anzi l’opera che si è fatta segnatamente notare[16], « giacché né i Greci né i Romani scultori hanno giammai velati i volti interi delle loro statue[17] ».

E poi il velo, facendo trasparire « il nudo da trarre in inganno per la verità raggiunta mediante l’esecuzione[18] »; ci dà la sensazione di poter scorgere sotto di esso un corpo che palpita. Non è quel corpo, come dice il Colonna, rilasciato e volgare[19] « a cagione dell’artistica trasparenza del velo[20] »; esso ha invece forme slanciate, e coperto in quel modo, acquista un senso di nobiltà anche per la sua attitudine[21]. Orbene, se il velo che fa trasparire le nudità, a cagione della sua artistica trasparenza, trae in inganno per la verità che raggiunge, vuol dire che l’arte del Corradini non è sostituita, come si contraddice, dall’artifizio, né il suo ingegno dalla pazienza[22]. La statua ci palesa, anzi, pregi artistici tali da giustificare pienamente l’entusiasmo col quale venne accolta, al suo apparire, dai contemporanei[23]. Non avrà la Pudicizia la magnificenza ellenistica o la perfezione dei capolavori del secolo d’oro della scultura italiana, ma ha quanto basta per essere classificata un’opera in cui l’arte non manca. Avrà quest’arte un sapore barocco, ma ha pure delle qualità e dei requisiti geniali. Non già perché lo scultore abbia saputo modellare una statua difficile, il cui merito, come si obbietta, consisterebbe « soltanto nella meccanica imitazione del velo che ricopre la sottoposta figura[24] », ma per il fatto che egli ha saputo concepire e renderci una opera ricca di alto significato spirituale. E mentre si afferma che il volto di Cecilia non ha espressione alcuna[25], a noi pare, invece, che desso dica qualcosa, perché vi traspare una vaga tristezza ed un senso indefinibile di dolore.

 

***

 

La critica accademica ha avuto forti contrasti nel giudicare questa Pudicizia, ora innalzata tra i capolavori, ora posta tra le opere volgari. Il certo però è questo che non tutti hanno compresa la particolare significazione data dal Corradini alla statua. Si è guardato soltanto all’esteriore, senza penetrare nelle finalità della concezione. Sarà pure la Pudicizia una riproduzione della Vestale[26] dello stesso Corradini, ma questo non è il primo caso in cui un artista ripete un soggetto od un motivo altra volta trattato. Vuol dire che per il Corradini la Vestale rispondeva esattamente alla sua nuova concezione ed al suo nuovo bisogno. La statua non l’avrà certamente copiata da altri: è il Corradini, invece, che è stato copiato[27]. Ciò prova come la critica demolitrice dell’arte dello scultore veneziano non poggia su basi veramente solide, tanto vero che l’entusiasmo per la Pudicizia, verificatosi nel 1752, sopravvive tuttora. Sarà entusiasmo di « gente volgare », sia pure, ma – vedi stranezza – è proprio quella gente, cioè il pubblico, che è quasi sempre chiamato a giudicare le opere degli uomini d’ingegno.

 

***

 

Nel far conoscere ai lettori la statua della Pudicizia raffigurante la nostra conterranea – circostanza mai rilevata da coloro che si sono occupati della scultura del Corradini – io non so come sia scivolato in una discussione polemica. Del resto, meglio così, anche perché ho avuto agio di far notare, come la statua – piena d’impeti e di ardimento, ricca di pregevole tecnica, cui nessuno, pare, sia mai pervenuto – rappresenti uno dei modelli più interessanti che vanti l’arte barocca. Avrà delle pecche, avrà anche delle manchevolezze, ma esse impallidiscono innanzi ai pregi artistici non comuni, di cui quest’opera – « singolare nell’universo[28] » è adorna.

 

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[1] La costruzione della Cappella fu iniziata sin dal 1530 da G. Franc. Di Sangro. Nel 1613 l’ingrandì il Patriarca Alessandro Di Sangro, e nel secolo successivo venne abbellita da Raimondo Di Sangro (Cfr. Fabio Colonna di Stigliano: « La Cappella Sansevero e D. Raimondo Di Sangro », in Napoli Nobilissima, IV, 1895, e Salvatore Di Giacomo: « Napoli », Bergamo, 1907).

[2] Antonio Corradini, nacque ad Este verso la fine del 1600; studiò scultura presso il padre adottivo Antonio Tarsia; morì in Napoli il 12 agosto 1752, nel palazzo dei principi di S. Severo e fu sepolto nella rotonda della Chiesa omonima. (Cfr. U. Thieme nell’Allgemeines Lexikon der Bildender Künstler, vol. VII, 1912, pag. 455). Fu scultore di Carlo VI e della regina Maria Teresa (Cfr. G. Giuseppe Origlia: « Historia dello Studio di Napoli », Napoli, 1753). Alcune opere del Corradini si trovano nella Galleria di Dresda. (Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.).

[3] Cfr. R. Marrocco: « Niccolò Gaetani ed Aurora Sanseverino » in Archivio Storico del Sannio Alifano, 1919.

[4] Cfr. « Libro de’ Battezzati dall’anno 1684 sino all’anno 1686 » presso l’Archivio della Chiesa Parrocch. di S. Maria Magg. di Piedimonte. In esso è riportata la seguente fede di battesimo: « Gaetani Cecilia – Anno D.ni 1687 die 18 Mens. 7bris. Ill.mus, et R.mus D.nus D. Joseph de Lazzara Ep.us Aliphanus, in sacello Palatij Ecc.mi D.ni D. Antonij Caetano de Aragona Ducis Laurenzani, baptizzavit Infantem natam ex Ecc.mo D. Nicolao Caetano de Aragona, et Ecc.ma D.na D. Aurora Sanseverino coniugibus hujus Insignis Colleg. Eccl. S. Ma. Majoris, Terrae. Ped.ti, cum esset orta die octava mensis 7bris hora 14 cum medietate cui impositum est nomen Cecilia, Maria, Emilia, Domenica. Patrinus fuit Ecc.mus D.nus S. Martius Paceco Carafa Magdalunentium Dux, eisq. Nomine per epistolam constitutus fuit ad tenendam in sacro fonte baptismatis Ill.mus D.nus D. Carulus Caetano de Aragona; et matrina fuit Ecc.ma D.na Emilia Carafa Madalunentium Ducissa, et pro ejus parte per epistolam simul constituta fuit in sacro fonte baptismatis ad tenendam puellam Anna di Paspano Neapolitana obstetrix ».

[5] Cfr. « Liber Tertius Coniugatorum » degli anni 1659-1710, presso l’Archivio della Chiesa di S.M.M. Dal registro si rileva che gli sponsali tra Antonio Di Sangro e Cecilia Gaetani furono celebrati in Piedimonte nella Cappella del Palazzo Gaetani il 13 aprile 1707. Gli sposi furono uniti in matrimonio dal Patriarca di Alessandria D. Giuseppe Caetani. – Nella lieta ricorrenza lo scrittore pedemontano Niccolò Giorgi, compose, in latino, un epitalamo, oggi disperso, nel quale introdusse il fiume Torano, che bagna Piedimonte, a cantare le glorie degli sposi (Cfr. « Miscellanea di notizie biografiche e storiche » di Carlo Marocco, storico caiatino, manoscritto conservato dall’Associazione Storica di Piedimonte. Per la stessa occasione Michele Raillard stampò il libro: « Vari Componimenti Poetici per le nozze degli Eccellentissimi signori D. Cecilia Gaetano dé Duchi di Laurenzano e D. Antonio Di Sangro Duca di Torremaggiore » ecc. Napoli, MDCCVII. Tale raccolta contiene poesie di Agnello Spagnuolo, Antonio Di Liguoro, Agnello Albano, Antonio De Marino, Andrea Vitale, Bartolomeo Cota, Basilio Giannelli, Biagio Majola di Avitabile, Biagio Troise, Carlo Cito, Domenico Ferrari, Filippo Roselli, Giuseppe Lucina, Gaspare Villamagna, Gaspare Gaiebardo, Giacinto De Cristofaro, Gioacchino Poeta, Giuseppe Caputo, Gaetano Lombardo, Giuseppe Antonini, Giuseppe Romano, Gaetano De Niela, Girolamo Califano, Giuseppe Macrino, Luca Ferrari, Nicolò Amenta, Pompeo Pescarini, e Pietro Marcello Cavaniglia.

[6] Cfr. Archivio di Casa Gaetani di Piedimonte: « Capitoli matrimoniali de’ 26 giugno 1706 stipulati p. mano di Not. Aniello de Conciliis di Napoli, tra Cecilia Gaetani e Antonio Di Sangro », Scans. 1, Fasc. 1, n. 3. Questi capitoli vennero stipulati dieci mesi innanzi il matrimonio.

[7] Cfr. Berardo Candida Gonzaga: « Memorie delle famiglie nobili delle Province meridionali d’Italia », III, Napoli, MDCCCLXXVI. – È lo stesso Raimondo che nei sotterranei del suo palazzo componeva misture prodigiose, cuoceva muffole divampanti, porcellane squisite, mescolava colori macinati per la stampa tipografica, o faceva gemere torchi da lui medesimo fabbricati perché occorressero a imprimere in una sola volta parecchi colori sul foglio (Cfr. Salvatore Di Giacomo: op. cit.). Il Raimondo sposò Carlotta Gaetani, figlia di Tommaso, nipote di Niccolò Gaetani. Fece parte anche della Società dei Liberi Muratori: morì nel 1771 (Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.).

[8] Cfr. « Fatto discusso e concordato sugli antichi e nuovi processi per le cause tra Laurenzana e S. Severo », Napoli, Tipografia Dicesina, 1869.

[9] Raimondo Di Sangro nacque in Torremaggiore il 30 gennaio 1710 (Cfr. Erasmo Ricca: « La Nobiltà del Regno delle Due Sicilie », Napoli 1859).

[10] Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.

[11] Cfr. G. Giuseppe Origlia: op. cit..

[12] Accosto ed a sinistra del piedistallo si legge la seguente iscrizione: ANTONIO CONRADINO VENETO SCALPTORI CAESAREO ET APPOSITI SIMVLACRI VEL IPSI GRAECIS INVIDENDI AVCTORI QVI DVM RELIQVIA HVIVS TEMPLI ORNAMENTA MEDITABVR OBIIT. A. MDCCLII. RAYMVNDVS DE SANGRO S. SEVERI PRINCEPS P.

[13] Il F. Colonna di Stigliano (op. cit.) esprime il parere che la statua della Pudiciza avrebbe avuto maggior merito se scolpita senza velo, riuscendo così, egli dice, più appropriata al soggetto.

[14] G. Dupré: « Pensieri nell’arte e ricordi autobiografici » Firenze 1886.

[15] Cfr. P. Napoli Signorelli: « Vicende della cultura nelle Due Sicilie », Napoli, 1811.

[16] Cfr. Luigi Serra: « Storia dell’Arte Italiana », Milano, 1913.

[17] Cfr. La Breve nota riportata dal Colonna di Stigliano, nell’op. cit.

[18] C. I. Cavallucci: « Manuale di Storia dell’Arte », Firenze, 1905.

[19] Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.

[20] Cfr. Burkhardt: « Der Cicerone », Leipzig, 1893.

[21] Cfr. M. De La Lande: « Voyage en Italie », Geneve, 1790.

[22] Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.

[23] Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.

[24] Cfr. Leopoldo Cicognara: « Storia della scultura dal suo risorgimento fino al secolo di Canova », Prato, 1832.

[25] Cfr. F. Colonna di Stigliano: op. cit.

[26] Il Colonna di Stigliano lo afferma nell’op. cit. Egli steso, però, non è sicuro della esistenza della Vestale. Da una vecchia stampa fattagli vedere da B. Croce apparirebbe che il Corradini avesse modellata tale statua in Roma, prima della Pudicizia. Il certo è che la Vestale non si sa ove si trovi.

[27] Cfr. Lorenzo Giustiniani: « Dizionario Geog. Rag. del Regno di Napoli », Napoli, 1803. Anche il Colonna di Stigliano, nell’op. cit. afferma che il Cristo del Sammartino, nella stessa Cappella di Sanseverino, venne copiato da un bozzetto del Corradini, che non potette rifare in marmo per la morte sopraggiuntagli. Il Sammartino s’invaghì del bozzetto e fece la famosa statua del Cristo morto coperto dal velo. È degno di rilievo la circostanza che il velo ricoprente il corpo di Cecilia Gaetani è riprodotto dal modello, diciamo così, asciutto, contrariamente al velo, che ricopre il Cristo, tratto dal modello bagnato, il quale, meglio aderendo al corpo, rende più facile la riproduzione delle linee.

[28] Cfr Lorenzo Giustiniani: op. cit.